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''Certificati, la ricetta Fimmg.Il maggior sindacato dei ''generalisti'' rilancia la sua proposta alle parti sociali. Stop ai costi senza senso: «sì» all’autocertificazione per i primi tre giorni'' - Sole 24 ore Sanità
Martedì, 26 Febbraio 2008


n. 8 del 26 Febbraio 2008 LAVORO/PROFESSIONE pg. 31


Il maggior sindacato dei “generalisti” rilancia la sua proposta alle parti sociali
CERTIFICATI, LA RICETTA FIMMG
Stop ai costi senza senso: «sì» all’autocertificazione per i primi tre giorni
I6 milioni di certificati per i primi tre giorni di malattia prodotti ogni anno in Italia costano per la sola spedizione con raccomandata 20,4 milioni di euro.
Un peso finanziario per le tasche dei contribuenti e amministrativo per i medici di famiglia, che adesso la Fimmg invita a ripensare, sulla scia della polemica innescata dal giuslavorista Pietro Ichino che aveva parlato di «camici bianchi irresponsabili » e Ordini professionali inerti.
Chiara la proposta rilanciara dal sindacato e condivisa da altre sigle di categoria: lasciare che sia il lavoratore ad autocertificare la malattia per i primi tre giorni di assenza dal lavoro.
«Come tutti dovrebbero capire - spiega Giacomo Milillo, segretario nazionale Fimmg - il certificato medico per una patologia leggera (emicrania, insonnia ecc.) non è una diagnosi clinica ma un “atto di fede”, cioè di fiducia da parte del medico curante nel paziente che descrive un certo sintomo.
Non sarebbe allora meglio affrontare il problema una volta per tutte e dire che in questo caso la responsabilità non è e non può essere del medico ma è del lavoratore stesso?».
Per la Fimmg, sulle spalle del medico di base sono piovute obbligazioni su obbligazioni: il tetto di spesa, le indicazioni sull’uso del farmaco «che poco hanno a che vedere con l’obiettivo di cura del paziente» e una serie di sempre nuovi ambiti regolamentari «tra i quali vige da tempo l’obbligatorietà del certificato di malattia.
«Un formalismo senza molto senso - commenta il segretario del sindacato - dietro cui ci si nasconde. Salvo poi, quando i casi di cronaca più eclatanti esplodono (insegnanti ai Caraibi a esempio), attribuire la colpa del mal costume al medico».
Il formalismo - sostiene il maggior sindacato dei medici di famiglia - costa però caro ai bilanci pubblici. Ai 20,4 milioni di euro per l’invio con raccomandata con ricevuta di ritorno dei 6 milioni di certificati per i primi tre giorni (la metà del totale) vanno aggiunti altri 40,8 milioni per la spedizione degli altri, che devono essere inviati sia al datore di lavoro sia all’Inps.
Non finisce qui. Quanto costa - si chiede la Fimmg - stampare 12 milioni di cartoline di ritorno, accedere all’ambulatorio medico e agli uffici postali, archiviare e gestire il certificato, effettuare le visite domiciliari che servono solo a verificare se il lavoratore è al proprio domicilio nelle ore previste (10-12 e 17-19)?
«Se ipotizzassimo per la copertura di tutte queste voci un costo complessivo a certificato di 12 euro - sintetizza Milillo - dovremmo imputare alla comunità circa 144 milioni di euro all’anno come “spesa per certificati”».
È un circolo vizioso, spiega la Fimmg. La collettività sopporta costi inutili, i lavoratori un carico inutile, i medici un’attività praticamente impossibile: quella di verificare che il paziente abbia avuto effettivamente l’emicrania, l’insonnia, la febbre leggera e così via.
Bene, allora, l’autocertificazione. Oppure anche la franchigia per i primi tre giorni, proposta da Ichino, distribuendo i soldi risparmiati a tutti i lavoratori. «Non spetta certo a noi medici dover promuovere una riforma in questo senso, anche se alcune idee le abbiamo elaborate», conclude Milillo.
Che però invita tutti - da Confindustria alle istituzioni, fino ai sindacati di ogni settore - a «battere un colpo» per «affrontare il problema con lucidità, costruendo soluzioni efficaci».
di Manuela Perrone
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